Droit international général

Slowdown of recovery is not ‘environmental damage’ under the EU Directive. The High Court in Anglers’ Society.

GAVC - mer, 01/13/2016 - 07:07

R (Seiont, Gwyrfai and Llyfni Anglers’ Society) v Natural Resources Wales has a long history. That’s not meant to be a fairy tale opening: it actually has legal relevance.

Article 2(2) of the environmental liability Directive provides the following definition: “ ‘damage’ means a measurable adverse change in a natural resource or measurable impairment of a natural resource service which may occur directly or indirectly.” ‘Environmental damage’ is further defined in Article 2(1), providing a variety of layers which need ‘unpacking’ in the words of Hickinbottom J. He concludes, after lengthy and instructive analysis, that  “damage” as defined in article 2(2) of the EL Directive is restricted to a deterioration in the environmental situation, and does not in addition include the prevention of an existing, already damaged environmental state from achieving a level which is acceptable in environmental terms – or a deceleration in such achievement. Since “environmental damage” is a subset of “damage”; “environmental damage” necessarily has that same restriction.

The judgment is very considered and there is not much point in repeating it here: please refer to the text for a thorough read on the ELD, the water framework Directive, habitats and much more.

Geert.

 

Un commentario articolo per articolo del nuovo regolamento sulle procedure di insolvenza

Aldricus - mer, 01/13/2016 - 07:00

Règlement UE n° 2015/848 du 20 mai 2015 relatif aux procédures d’insolvabilité, a cura di Cécile Lisanti e Laura Sautonie-Laguionie, Société de législation comparée, 2016, pp. 430, ISBN 9782365170550, Euro 430.

[Dal sito dell’editore] Lorsqu’une entreprise développe son activité sur le sol de plusieurs États membres de l’Union Européenne, et qu’elle fait l’objet d’une procédure d’insolvabilité, le droit applicable est défini par le Règlement (UE) n°2015/848 du 20 mai 2015, qui opère une refonte du Règlement (CE) n°1346/2000 du 29 mai 2000. L’intérêt pratique de ce texte est manifeste puisqu’il détermine quelle juridiction est compétente pour ouvrir la procédure, quelle sera la loi applicable et quelle portée aura la procédure dans les différents États intéressés. Le Règlement insolvabilité est aussi intéressant sur le plan de la construction européenne puisque, sans procéder à une harmonisation des règles matérielles en la matière, il met en place des solutions garantissant la sécurité juridique, favorisant la circulation des décisions de justice, et invitant à une coopération des organes de la procédure mais aussi des juridictions. Il est donc un outil original dont l’ouvrage propose une étude article par article, qui renseigne sur le sens des dispositions, l’état du contentieux et les enjeux de leur application. Destiné tant aux professionnels qu’aux enseignants-chercheurs et aux étudiants, il permet de connaître le droit européen des procédures d’insolvabilité. 

Maggiori informazioni a questo indirizzo.

L’Avvocato generale Kokott sulla qualificazione agli effetti del regolamento Bruxelles I della responsabilità nascente dall’improvvisa interruzione di una relazione commerciale stabile

Aldricus - mar, 01/12/2016 - 07:00

Sono state rese note il 23 dicembre 2015 le conclusioni dell’Avvocato generale Juliane Kokott nella causa Granarolo, un procedimento pregiudiziale concernente l’interpretazione del regolamento n. 44/2001 sulla competenza giurisdizionale e il riconoscimento delle decisioni in materia civile e commerciale (Bruxelles I).

Il quesito sottoposto alla Corte riguarda l’art. 5 del regolamento, corrispondente oggi all’art. 7 del regolamento n. 1215/2012 (Bruxelles I bis). Si tratta della norma che prevede una serie di competenze “speciali”, alternative al foro generale del domicilio del convenuto e fondate sull’esistenza di un nesso particolarmente stretto fra il giudice di un dato luogo e la lite di cui detto giudice è investito.

Il rinvio mira ad ottenere un chiarimento circa la sfera di applicazione delle regole attributive contemplate all’art. 5 n. 1 e n. 2 del regolamento, riguardanti, rispettivamente, la “materia contrattuale” e la “materia degli illeciti civili dolosi e colposi” (nel regolamento Bruxelles I bis, si tratta, rispettivamente, dell’art. 7 n. 1 e n. 2). Più specificamente, viene chiesto alla Corte di precisare se debba aversi riguardo all’una o all’altra disposizione quando si faccia questione della responsabilità affacciata nei riguardi di un imprenditore per aver interrotto in modo brusco, senza un adeguato preavviso, una relazione commerciale stabile, e ciò al di fuori dell’ipotesi in cui tale interruzione costituisca la reazione all’inadempimento degli obblighi dell’altra parte. Una siffatta responsabilità è prevista, in Francia, dall’art. L 442-6 del Code de commerce.

Secondo l’Avvocato generale, un’azione di questo genere, riferita all’interruzione di relazioni commerciali stabili “non inserite in un contratto quadro”, e in mancanza di un patto di esclusiva, deve considerarsi compresa nella materia degli illeciti civili dolosi o colposi e comporta dunque l’operatività dell’art. 5 n. 3, del regolamento n. 44/2001.

Per giungere a tale conclusione, l’Avvocato generale fa leva principalmente sulla sentenza Brogsitter. In essa, la Corte di giustizia ha affermato che, per delimitare la sfera applicativa del foro della materia contrattuale, distinguendolo da quello degli illeciti civili, è decisivo stabilire se “l’interpretazione [di un] contratto che vincola il convenuto al ricorrente appare indispensabile per stabilire … l’illiceità del comportamento … rimprovera[to] al secondo”. Una tale interpretazione, ha osservato la Corte in quel frangente, risulta indispensabile in materia di contratti qualora “le azioni intentate … nel procedimento principale abbiano per oggetto una domanda di risarcimento la cui causa può essere ragionevolmente considerata una violazione dei diritti e delle obbligazioni del contratto che vincola le parti …, circostanza che ne renderebbe indispensabile la presa in considerazione per decidere sul ricorso”.

Nel caso di specie, osserva l’Avvocato generale, il diritto al risarcimento invocato dall’attore si ricollega all’improvvisa interruzione di una relazione commerciale stabile nel cui contesto un’impresa italiana ha compiuto varie forniture di prodotti a un’impresa francese, in assenza, tuttavia, di un contratto quadro che disciplinasse nel complesso la relazione commerciale delle parti.

In tali circostanze, prosegue l’Avvocato generale, la questione decisiva, quella consistente nel sapere se l’interruzione della relazione commerciale in questione sia stata accompagnata, o meno, da un ragionevole termine di preavviso, “non dipende … dalla valutazione di accordi tra le parti”, ma si collega semmai ad “una norma di legge che, nell’interesse di ordinate relazioni commerciali, ne disapprova ogni improvvisa interruzione, prevedendo, in questi casi, diritti al risarcimento per l’ex partner commerciale”.

Nel caso in esame, si legge ancora nelle conclusioni, non si discute di violazioni contrattuali, “bensì del rifiuto dell’ex partner commerciale di stipulare contratti”. Si potrebbe parlare, in effetti, di importi “contrattuali” solamente “qualora la parte che interrompe la relazione commerciale eccepisca eventuali violazioni contrattuali pregresse da parte del creditore nell’ambito di detta relazione, per giustificare così l’interruzione di quest’ultima e sottrarsi al relativo obbligo di risarcimento”. Senonché, rimarca l’Avvocato generale, “un siffatto motivo di difesa – quand’anche sollevato mediante eccezione … – non modificherebbe la natura della pretesa risarcitoria e non la trasformerebbe in una pretesa contrattuale”.

La pretesa azionata in giudizio va dunque qualificata come extracontrattuale, in linea con quanto fatto dalla stessa Corte di giustizia nella sentenza Tacconi in relazione alla responsabilità connessa all’interruzione di trattative precontrattuali: nell’uno come nell’altro caso – stando all’Avvocato generale – mancano quegli “impegni liberamente assunti da una parte nei confronti di un’altra” che, sin dalla sentenza Handte, rappresentano, per il giudice dell’Unione, il proprium della materia contrattuale.

Happy days!: ‘closest and most real connection’ for identifying lex contractus. Ontario CA in Lilydale v Meyn.

GAVC - lun, 01/11/2016 - 15:20

Lilydale v Meyn at the Ontario Court of Appeal (held April 2015 but only reaching me now – thank you to Michael Shafler and colleagues for flagging) is a useful reminder of the common law approach to determining lex contractus in the absence of choice of law. (Here of course an inter-State conflicts issue between Ontario and Alberta). Laskin JA refers in support to english precedent, summarised in quoted passage of Cheshire’s Private International Law:

The court must take into account, for instance, the following matters: the domicil and even the residence of the parties; the national character of a corporation and the place where its principal place of business is situated; the place where the contract is made and the place where it is to be performed; the style in which the contract is drafted, as, for instance, whether the language is appropriate to one system of law, but inappropriate to another; the fact that a certain stipulation is valid under one law but void under another … the economic connexion of the contract with some other transaction … the nature of the subject matter or its situs; the head office of an insurance company, whose activities range over many countries; and, in short, any other fact which serves to localize the contract.

The motion judge’s findings on the relevant criteria were held to be reasonable, as was her overall conclusion that the closest and most real connection to the contract was Ontario.

The case is an interesting reminder of what in the Rome I Regulation is now the final resort, should none of the relevant presumptions in Article 4 apply.

An interesting point in the judgment is the main reason why parties prefer one law over the other: at 3: ‘The issue is important because Alberta and Ontario have different ultimate limitation periods. Even taking into account discoverability, Alberta’s ultimate limitation period is 10 years; Ontario’s is 15 years. The parties agreed that Lilydale’s cause of action arose no later than August 31, 1994. Therefore, as Lilydale did not sue until January 2006, if Alberta law applied, its action was statute-barred; if Ontario law applied, it was not.’

Aren’t statutes of limitation under Canadian conflict of laws, covered by lex fori, as procedural issues, and not, as is seemingly accepted here, lex causae?

Geert.

 

 

Off-spec fuel: ELSE MARIE THERESA: Not all blending disables qualification as waste.

GAVC - lun, 01/11/2016 - 10:00

The CJEU’s finding in Shell, was applied by the Court of first instance at Antwerp in a judgment from October last, which has just reached me. (I have not yet found it in relevant databases (not uncommon for Belgian case-law), but I do have a copy for those interested). The case concerned debunkered off-spec fuel, off the ship Else Maria Theresa (her engines apparently having been affected by the oil being off-spec), blended into /with a much larger amount of bunker oil.

The court applied the Shell /Carens criteria, leading to a finding of waste. In brief, the blending in the case at issue was not, the court held, standing practice in the bunkering /debunkering business, and /or a commercially driven, readily available preparation of off-spec for purchase by eager buyers. Rather, a quick-fix solution to get rid off unwanted fuel.

The judgment (which is being appealed I imagine) emphasises the case-by-case approach needed for the determination of ‘waste’.

Geert.

The ECJ on the circumstances allowing the review of a European order for payment

Aldricus - lun, 01/11/2016 - 07:00

On 22 October 2015, the ECJ rendered its judgment in Thomas Cook Belgium (case C-245/14), a case concerning the interpretation of Regulation No 1896/2006 creating a European order for payment procedure.

The request for a preliminary ruling arose from a dispute concerning a contract concluded between a Belgian travel agency and an Austrian company.

The latter, alleging that the travel agency had not performed its contractual obligations, applied for a European order for payment before the Vienna District Court for commercial matters. The jurisdiction of this court was asserted by the applicant on the basis of Article 5(1) of Regulation No 44/2001 (Brussels I), now corresponding to Article 7(1) of Regulation No 1215/2012 (Brussels Ia), which lays down a head of “special” jurisdiction for matters relating to a contract.

The order for payment was issued and served on the defendant. The latter lodged a statement of opposition, but did so only after the expiry of the time-limit stated in Article 16(2) of Regulation No 1896/2006. Relying on Article 20 of the Regulation, the defendant then applied for the review of the order, claiming that the application form did not mention the choice-of-forum clause featured in the contract, which conferred exclusive jurisdiction on the Belgian courts.

Seised of the application for review, the Vienna Commercial Court asked the ECJ to clarify the interpretation of Article 20(2) of Regulation No 1896/2006, whereby the defendant is entitled to apply for a review only “where the order for payment was clearly wrongly issued, having regard to the requirements laid down in this Regulation, or due to other exceptional circumstances”. Pursuant to Recital 25 of the Regulation, such other exceptional circumstances “could include a situation where the European order for payment was based on false information provided in the application form”.

In the judgment, the ECJ begins by noting that, according to Article 12(3), once the European order for payment has been served on the defendant, the latter is deemed to be aware of his options to pay the amount indicated in the order, or lodge a statement of opposition in accordance with article 16, within 30 days of the service.

In the Court’s view, since the Regulation does not provide for the defendant’s participation in the procedure, the second option is aimed at compensate this party, by giving him the chance to contest the claim after the order has been issued.

The Court goes on by inferring from the heading of Article 20 that, once the time-limit for opposition has elapsed, no review is allowed, save in “exceptional circumstances”. Accordingly, this provision requires a strict interpretation.

In light of this, the court seised of a request for review must ascertain whether the order was “clearly wrongly issued, having regard to the requirements laid down in the Regulation” (which include, as indicated in Article 7(2), the ground on which the jurisdiction of the court having issued the order is based). Pursuant to Article 8, the court is merely required to verify, on the basis of the application form, whether the claim appears to be founded, and whether the requirements set forth in the Regulation are met.

In this connection, the ECJ notes that under Article 23 of the Brussels I Regulation, the jurisdiction conferred under a choice-of-court agreement is normally exclusive in nature, but equally observes that, according to Recital 16 of Regulation No 1896/2006, the court seised is required to examine the application, including the issue of jurisdiction, solely on the basis of the information provided in the application form, without having to verify them.

After all, the Court adds, the defendant is informed of this fact in the order, as well as of his duty to lodge a statement of opposition under Article 16 to prevent the order from becoming enforceable, as indicated in Article 12(4)(a) and (b). As a consequence, the defendant is in a position to easily object to the jurisdiction of the seised court within the deadline provided for in the Regulation, by simply alleging that the information provided by the claimant in the application form is false or incorrect, without being required to specify the reasons for the objection.

According to the ECJ, this facilitation is to be read in light of the purpose of the Regulation, namely the need to “reconcile the swiftness and efficiency of court proceedings, whilst observing the rights of defence”. Actually, the assessment of a jurisdiction clause “may give rise to complex points of law, such as the validity…” of the clause itself, which would require a broader examination than that provided under Article 8 of the Regulation.

The conclusion, accordingly, is that “having regard to the circumstances laid down in Regulation No 1896/2006”, the European order for payment in question cannot be considered “clearly wrongly issued”.

The Court goes on to discuss the meaning of the expression “exceptional circumstances”, as employed in Article 20(2).

As mentioned above, Recital 25 clarifies that such exceptional circumstances include a situation where the order was based on false information provided by the claimant in the application form. In the present case, since the defendant based his claim for review on the fact that the applicant did not mention the choice-of-forum clause on which both parties agreed, he could not ignore the aforementioned clause at the time of the service of the order. Accordingly, from the Court’s standpoint, he could have been able to promptly detect the false information and lodge a timely statement of opposition. Such a possibility prevents him from relying on Article 20, given that this provision is not aimed at providing the defendant with a second opportunity to oppose the claim, as clearly stated by Recital 25.

Therefore, in the opinion of the ECJ, “it cannot be considered that the order for payment was wrongly issued due to other exceptional circumstances within the meaning of Article 20(2) of Regulation No 1896/2006”.

To support this conclusion, the Court also refers to Recitals 9 and 29, and to Article 1(1)(a), stating that granting a review would undermine the objective of the Regulation, that is “to simplify, speed up and reduce the costs of litigation in cross-border cases concerning uncontested pecuniary claims by creating a European order for payment procedure”, and “to establish a uniform rapid and efficient mechanism for the recovery of such claims”.

La Cassazione sulla legge applicabile al cognome della moglie a seguito del divorzio

Aldricus - ven, 01/08/2016 - 07:00

Con la sentenza 13 novembre 2015, n. 23291, la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine all’individuazione della legge applicabile al cognome della moglie a seguito del divorzio.

Il giudice di prime cure, oltre a dichiarare lo scioglimento del matrimonio e a statuire sulle domande alimentari, aveva inibito alla moglie, cittadina svedese, l’uso del cognome del marito in applicazione dell’art. 5 della legge 1° dicembre 1970 n. 898 sul divorzio. La moglie era allora ricorsa in appello lamentando, fra le altre cose, l’inibizione all’uso del cognome del marito. In appello, la censura è stata ritenuta fondata: la moglie, stando ai giudici dell’appello, aveva acquisito il cognome del marito in forza della legge svedese, e questa rimette alla moglie la scelta di mantenere o meno detto cognome.

Di qui il ricorso per cassazione proposto dal marito, secondo il quale, con riferimento all’uso del cognome, la Corte d’Appello aveva errato nel ritenere che la legge italiana dovesse regolare il divorzio ma non il diritto all’uso del nome.

La Suprema Corte, rigettando il ricorso, dichiara di condividere le conclusioni raggiunte in appello, salvo modificare l’indicazione delle ragioni poste a fondamento della ritenuta applicabilità della legge svedese.

Osserva inizialmente il giudice di legittimità che pur non essendo il diritto al nome materia regolata dal diritto dell’Unione europea, “le norme nazionali, tuttavia, come precisato dalla sentenza Garcia Avello … devono venire applicate in modo da non ostacolare la libera circolazione tra le persone” nelle fattispecie a carattere transnazionale.

Senonché, osserva la Corte, è da escludere che nel caso di specie vengano in rilievo le norme di conflitto poste dalla legge 31 maggio 1995 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (e in particolare l’art. 24, in tema di diritti della personalità), occorrendo piuttosto fare riferimento alla Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980 sulla legge applicabile ai cognomi e ai nomi (di cui si veda qui il testo francese, allegato alla legge italiana di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione). In particolare, la Convenzione di Monaco, all’art. 1, prevede che il nome e il cognome dell’individuo sono determinati dalla propria legge di cittadinanza, senza che rilevi (come invece accade in base all’art. 24, comma 2, della legge n. 218/1995) la legge regolatrice dell’eventuale rapporto di famiglia da cui dipenda il diritto all’uso del nome.

È su queste basi che la Corte conclude che il nome della moglie sia soggetto alla legge svedese. Quest’esito, osserva la Corte, non è inficiato dal fatto che la donna, pluricittadina, abbia nel contempo la nazionalità di un paese diverso dalla Svezia, essendo comunque quest’ultimo il paese con cui l’interessata — ai sensi dell’art. 19, comma 2, della legge n. 218/1995 — presenta il collegamento più stretto: in tale paese, in particolare, è stato celebrato il matrimonio, è nato il figlio della coppia e si è svolta in via prevalente la vita familiare.

Rotterdam ultimately lets Shell (and Carens) off the hook in reverse logistics v waste case.

GAVC - jeu, 01/07/2016 - 14:43

I have reported some time ago on the reverse logistics case involving Shell and Carens. As noted in that post, the CJEU instructed the court at Rotterdam to gauge the ‘true intentions’ of Shell vis-a-vis the contaminated fuel which it had taken back from one of its clients (Carens).

The Court at Rotterdam issued its final judgment on 23 December last, truly a christmas present for the companies involved for the accusations of illegal waste shipments were rejected. (I could not locate the judgment on ECLI yet: I have a copy for those interested).

The court first of all rejected a rather neat attempt of the Dutch prosecutor to get around the CJEU’s finding in para 46 of its judgment : ‘it is particularly important that the Belgian client returned the contaminated ULSD to Shell, with a view to obtaining a refund, pursuant to the sale contract. By so acting, that client cannot be regarded as having intended to dispose of or recover the consignment at issue and, accordingly, it did not ‘discard’ it within the meaning of Article 1(1)(a) of Directive 2006/12.‘ It was suggested that incoterm FOB (‘Free on Board’), applicable to the agreement between Carens and Shell, meant that the qualification of the payment by Shell could not have been a refund for defective goods (ownership of the goods already having been transferred prior to contamination) but rather the payment of damages for a contract not properly carried out. This, it was argued, made para 46 irrelevant for the facts of the case. The court at Rotterdam essentially argued that par 46 needs to be applied beyond the black letter of the law: in effect, in acting as they did and following their running contractual relationships, Shell and Carens had decided to annul the sale, sale price was refunded, and Carens could therefore not be seen as owner or holder of the goods.

Neither, the court held, could Shell be considered a discarding the fuel: the court paid specific attention to testimony that the fuel concerned was actually presented to market, with a view to establishing what price it could fetch. Offers were made which were not far off the initial sale price. Re-blending of the fuel was only done to obtain a higher price and was carried out in accordance with established market practices. Shell’s resale of the fuel, as holder of it, was not just a mere possibility but a certainty (language reminiscent of what the CJEU normally employs for the distinction recovery /disposal).

Final conclusion: the fuel at no stage qualified as waste and no one could have discarded it.

A very important judgment indeed – it will be interesting to see whether the prosecutor’s office will appeal.

Geert.

 

EBS Law School Lecture on “Cross border insolvency: National principles and international dimensions” on 18 February 2016 at EBS Law School in Wiesbaden

Conflictoflaws - jeu, 01/07/2016 - 11:13

by Jonas Wäschle

Jonas Wäschle, LL.M. is a research fellow at the EBS Law School Research Center for Transnational Commercial Dispute Resolution at EBS University for Economics and Law in Wiesbaden (www.ebs.edu/tcdr).

The Research Center for Transnational Commercial Dispute Resolution at EBS Law School will host a lecture on cross border insolvency. Hon. Elizabeth Stong, judge since 2003 at the U.S. Bankruptcy Court, Eastern District of New York, Professor Dr Heinz Vallender, University of Cologne, former judge at the Insolvency Court of Cologne, and Jennifer Marshall, Partner in Allen & Overy London and General Editor of the Sweet & Maxwell loose-leaf on European cross-border insolvency, will talk to us on cross-border insolvencies.

The focus will be on the techniques to reconcile national principles with the challenges from international cases. Starting with a key note lecture by Stong on her experiences from a US perspective, her European counterparts will pick up the ball and present and compare European practice. The speakers will look at recent US and European cases and refer to guiding principles. This input will be measured against the principles of the UNCITRAL Model Law on Cross-Border Insolvency with its 2014 Guide to Enactment and Interpretation and the European Insolvency Regulation Recast of 2015. All attendees are invited to join the discussion chaired by Dr Oliver Waldburg, Partner in Allen & Overy.

The Lecture will be held on 18 February 2016 at 6.30 p.m. in Lecture Room “Sydney”. The program will be as follows:

Welcome and Introduction

Prof. Dr. Matthias Weller, Mag.rer.publ., EBS Law School, Wiesbaden

Keynote Lecture

Hon. Elizabeth Stong, U.S. Bankruptcy Court, E.D.N.Y.

Panel discussion

Chair: Dr. Oliver Waldburg, Allen & Overy Frankfurt

Hon. Elizabeth Stong, U.S. Bankruptcy Court, E.D.N.Y.

Prof. Dr. Heinz Vallender, University of Cologne

Jennifer Marshall, Allen & Overy London

Get-together at the Lounge of the EBS Law School

 The lecture will be held in co-operation with:

Allen & Overy | Harvard Law School Association of Germany e.V. | Deutsch-Amerikanische Juristen-Vereinigung e.V.

We would like to cordially invite you to join the lecture! Further questions and registrations may be addressed to claudia.mueller@ebs.edu.

US Supreme Court Enforces No-Class-Action Arbitration (Again): DIRECTV, Inc. v. Imburgia

Conflictoflaws - jeu, 01/07/2016 - 09:00

By Verity Winship (University of Illinois College of Law).

In DIRECTV, Inc. v. Imburgia – decided on December 14, 2015 – the US Supreme Court enforced a no-class-action arbitration clause, shutting down a consumer class action.

The consumer contract at issue provided that “if the law of your state” did not allow waiver of class arbitration, the agreement to arbitrate as a whole was invalid. At the time DIRECTV drafted the contract, California law made class-arbitration waivers unenforceable. But the US Supreme Court later undid this in AT&T Mobility LLC v. Concepcion, which required California to enforce these waivers under US federal law – the Federal Arbitration Act (FAA).

Against this backdrop, the DIRECTV majority opinion navigates choice of law and the interplay between US state and federal law in a few discrete steps.

First, the parties could elect invalid California law as their choice of governing law.  “In principle,” Justice Breyer indicates, writing for the majority, parties “might choose to have portions of their contract governed by the law of Tibet, the law of pre-revolutionary Russia, or (as is relevant here) the law of California …  irrespective of that rule’s invalidation in Concepcion“.

Second, the state court held that the parties had elected invalid California law. The state court has the final word on the interpretation of state law, and contract law is at the heart of this subnational prerogative. So the Supreme Court must live with the California state court’s holding that the contractual selection of “law of your state” included now-invalid California law (the last on Justice Breyer’s list above).

But, third, the state court’s interpretation singled out arbitration contracts, so was pre-empted by the Federal Arbitration Act.

The Supreme Court reasoned that the California state court decision must not conflict with the FAA. In particular, it must put arbitration contracts on “equal footing” with all other contracts.  According to the Supreme Court, the California court singled out arbitration when interpreting the phrase “law of your state”. Federal law accordingly pre-empted its decision and the arbitration agreement must be enforced.

The two dissenting opinions make very different points.

Justice Thomas would restrict the reach of the FAA so that it does not reach state courts.

A separate dissent by Justices Ginsburg and Sotomayor highlighted the underlying dynamics that have made this area of the law so controversial in the US and that perhaps have pushed the Supreme Court to revisit these questions repeatedly in recent years. In particular, the dissent decried the majority’s reading of the FAA to “deprive consumers of effective relief against powerful economic entities that write no-class-action arbitration clauses into their form contracts.” The dissent would not “disarm consumers, leaving them without effective access to justice”.

Il nuovo Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno: considerazioni e interrogativi sul suo funzionamento in presenza di elementi di internazionalità

Aldricus - mar, 01/05/2016 - 07:00

La legge di stabilità per il 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 30 dicembre 2015 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2016, istituisce, al comma 414, “in via sperimentale”, un Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno.

Il comma 415, consente l’accesso alle risorse del Fondo al “coniuge in stato di bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi”, allorché “non abbia ricevuto l’assegno determinato ai sensi dell’articolo 156 del codice civile per inadempienza del coniuge che vi era tenuto”.

L’interessato può rivolgersi al “tribunale del luogo ove ha residenza” per chiedere l’anticipazione di una somma non superiore all’importo dell’assegno medesimo. L’istanza, se ritenuta ammissibile dal Presidente del Tribunale o dal giudice da lui delegato, viene trasmessa al Ministero della Giustizia ai fini della corresponsione. Il Ministero, dal canto suo, “si rivale sul coniuge inadempiente per il recupero delle risorse erogate”.

Le norme di attuazione delle disposizioni ora tratteggiate — aggiunge il comma 416 — sono adottate entro il mese di gennaio 2016 con decreto del Ministro della Giustizia. Il regime attuativo, oltre ad individuare i tribunali presso i quali verrà avviata la sperimentazione, dovrebbe determinare le modalità “per la corresponsione delle somme e per la riassegnazione al Fondo … delle somme recuperate” presso il coniuge inadempiente.

Non sono di immediatamente evidenza, stando al tenore testuale della legge, le condizioni e le modalità di accesso al Fondo rispetto ai casi che presentino degli elementi di internazionalità (nulla di nuovo, verrebbe da dire: il legislatore italiano fatica a rappresentarsi che le fattispecie che si dispone a regolare nel campo del diritto privato non sono sempre e soltanto delle fattispecie puramente interne; per una dimostrazione recente di questa poca sensibilità si vedano le norme relative alla negoziazione assistita in tema di separazione e divorzio dettate dalla legge 10 novembre 2014 n. 162, di conversione del decreto legge n. 132/2014).

Nello stabilire che l’istante debba rivolgersi al Tribunale del luogo in cui risiede, il comma 414 sembra implicitamente indicare che per avvalersi delle risorse del Fondo è necessario (e sufficiente, parrebbe) risiedere in Italia al momento dell’istanza. Irrilevanti, sotto questo profilo, sono la cittadinanza del richiedente e il luogo in cui questi risiedeva all’epoca della pronuncia della separazione o della concessione dell’assegno, come pure la cittadinanza e la residenza del debitore.

Il Fondo, come si è detto, mira a soddisfare le esigenze del coniuge che non abbia ricevuto “l’assegno determinato ai sensi dell’articolo 156 del codice civile”, vale a dire l’assegno che il giudice stabilisce pronunziando la separazione a favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione stessa, affinché questi riceva “quanto è necessario al suo mantenimento”, là dove non disponga di “adeguati redditi propri”.

Il testo del comma 415 non sembra escludere la possibilità di ritenere soddisfatto il presupposto ora indicato — l’avvenuta concessione di un “assegno determinato ai sensi dell’articolo 156 del codice civile” — quando il provvedimento che ha stabilito l’assegno sia un provvedimento straniero reso in applicazione della legge italiana (e, specificamente, dell’art. 156 del codice civile), se efficace in Italia.

L’efficacia in Italia di un provvedimento straniero che disponga in ordine al mantenimento di un coniuge durante la separazione potrà dipendere, a seconda dei casi, dal regolamento (CE) n. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, dalla Convenzione dell’Aja del 23 novembre 2007 sull’esazione internazionale dei crediti alimentari, dalla Convezione dell’Aja del 2 ottobre 1973 sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni relative alle obbligazioni alimentari, da eventuali convenzioni bilaterali sull’assistenza giudiziaria e il riconoscimento delle sentenze in materia civile, o dalle norme “comuni” di diritto internazionale privato dettate dalla legge 31 maggio 1995 n. 218.

È invece meno agevole stabilire se possa beneficiare del Fondo unicamente chi lamenti il mancato versamento di un assegno disposto in base all’art 156 del codice civile, come a rigore parrebbe emergere dal testo del comma 415 della legge, o se le relative risorse possano essere mobilitate anche a tutela di chi invochi un assegno, egualmente connesso alla separazione ed egualmente funzionale al mantenimento del coniuge incolpevole, fissato dal giudice in applicazione di una norma straniera.

L’eventualità appena evocata può presentarsi sia in relazione a un provvedimento reso all’estero sia in relazione a un provvedimento pronunciato in Italia.

Il giudice italiano, competente a pronunciarsi in forza delle norme sulla giurisdizione di cui al regolamento n. 4/2009, dovrà infatti fondare le proprie statuizioni in ordine alle pretese alimentari di uno dei coniugi nei confronti dell’altro su una legge diversa da quella italiana, se così dispongono le norme di conflitto del Protocollo dell’Aja del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari. Una simile conclusione potrebbe imporsi anche quando la residenza abituale dell’alimentando si trovi in Italia al momento del procedimento; e ciò vuoi in forza dell’art. 5 del Protocollo (quando una delle parti si opponga all’applicazione della legge italiana “e la legge di un altro Stato, in particolare quello dell’ultima residenza abituale comune, presenti un collegamento più stretto con il matrimonio”) vuoi in forza di una electio iuris pattuita fra le parti ai sensi dell’art. 8.

Un’interpretazione restrittiva del comma 415 della legge di stabilità, cioè un’interpretazione che circoscriva l’accesso al Fondo a chi invochi un assegno retto dal diritto italiano, darebbe verosimilmente luogo a più di un inconveniente.

In particolare, il creditore di un assegno pronunciato (in Italia o all’estero) in base a un diritto diverso dal diritto italiano correrebbe il rischio di subire — ove risieda in Italia al momento della mancata corresponsione di quanto dovutogli — una discriminazione irragionevole. La sua situazione, pur ricevendo sul piano sostanziale una tutela giuridica equiparabile a quella assicurata dall’art. 156 del codice civile (per la meritevolezza degli interessi protetti, per il tipo di protezione concessagli etc.), non sarebbe assistita dal meccanismo di solidarietà voluto dal legislatore tramite la costituzione del Fondo: le ragioni da lui invocate potrebbero così finire per conoscere una realizzazione meno effettiva di quella spettante a chi, nelle medesime circostanze, faccia valere un credito alimentare basato sul diritto italiano. Una disparità di trattamento, questa, che colpirebbe posizioni non solo giuridicamente ma anche socialmente simili, se è vero che — come detto — il titolare dell’una come il titolare dell’altra pretesa creditoria dovrebbero, per sollecitare l’intervento del Fondo, risiedere in Italia.

Insomma, due persone, entrambe residenti in Italia nel momento in cui vivono una condizione di bisogno (e magari entrambe italiane), potrebbero scoprirsi discriminate quanto all’accesso al Fondo per il solo fatto che la decisione di cui intendono avvalersi (magari resa in entrambi i casi da un giudice italiano) è stata pronunciata, in un caso, sul fondamento del diritto italiano e, nell’altro caso, sul fondamento del diritto straniero (un diritto, vale la pena di sottolinearlo, la cui applicabilità potrebbe essere stata imposta in via oggettiva al giudice della separazione, senza riguardo alle preferenze eventualmente espresse dall’alimentando o ai vantaggi a lui derivanti dall’impiego delle norme di questo o quel paese).

La posizione di chi si dolga della mancata corresponsione di un assegno basato su disposizioni sostanziali non italiane risulterebbe allora deteriore rispetto a quella di chi si dolga della violazione di un assegno “italiano” anche se l’importo del primo assegno, determinato in conformità alla legge straniera, fosse inferiore a quello che il coniuge avrebbe conseguito nelle medesime circostanze se i parametri pertinenti fossero stati quelli della legge italiana.

V venendo al recupero delle somme erogate al beneficiario ad opera del Ministero della Giustizia, il comma 415 della legge di stabilità non frappone alcun ostacolo a che l’azione del Ministero si proietti, all’occorrenza, al di fuori dell’Italia, a seconda di dove siano localizzati i cespiti patrimoniali del debitore più agevolmente aggredibili a fini esecutivi.

Per mettere in atto il recupero transfrontaliero, andrà accertata la possibilità, per il Ministero, di far valere nel paese pertinente tanto il provvedimento (italiano o straniero) che ha stabilito l’assegno quanto il diritto del Ministero stesso di surrogarsi nelle pretese del creditore.

Negli Stati membri dell’Unione europea viene in rilievo a questo fine l’art. 64 del già ricordato regolamento n. 4/2009. La norma, elaborata tenendo conto delle sentenze Baten e Blijdenstein della Corte di Giustizia, prevede che, ai fini di una domanda di riconoscimento e di dichiarazione di esecutività o di esecuzione di decisioni, la nozione di “creditore di alimenti”, di per sé riferibile soltanto alla “persona fisica a cui sono dovuti o si presume siano dovuti alimenti” (art. 1, par. 1, n. 10 del regolamento) comprende “l’ente pubblico che agisce per conto di una persona cui siano dovuti alimenti o un ente al quale sia dovuto il rimborso di prestazioni erogate in luogo degli alimenti”.

Il diritto di un ente pubblico di agire per la persona fisica a cui siano dovuti gli alimenti, aggiunge il par. 2 dello stesso art. 64, “è disciplinato dalla legislazione cui è soggetto l’ente” (dunque dalla legislazione italiana, comprese le future norme di attuazione del regime in esame, quando si tratti di misure di recupero avviate dal Ministero della Giustizia a seguito dell’erogazione di risorse tratte dal Fondo).

Delle previsioni pressoché identiche, in tema di azioni di enti pubblici, si leggono  all’art. 36 della menzionata Convenzione dell’Aja del 2007 sull’esazione dei crediti alimentari.

Choice of Law in the American Courts in 2015: Twenty-Ninth Annual Survey

Conflictoflaws - lun, 01/04/2016 - 14:43

Prof. Symeonides’ Survey of American Choice-of-Law Cases, now in its 29th year, you can download it from SSRN by clicking on this link. It is also forthcoming in the American Journal of Comparative Law, Vol. 64, No. 1, 2016. The following are some of the cases discussed in this year’s Survey:

*Three Supreme Court decisions, the first declaring unconstitutional all state laws against same-sex marriages, the second interpreting the commercial activity exception of the Foreign Sovereign Immunity Act, and the third further constricting the range of state law in matters relating to arbitration;

* A Second Circuit decision resuscitating for now that court’s theory that corporations are not accountable for international law violations under the Alien Tort Statute (ATS), and two decisions holding that the violations at issue did not “touch and concern the territory of the United States . . . with sufficient force”;

* Two cases refusing to allow a Bivens action for an extraterritorial violation of the Fourth Amendment and an intra-territorial violation of the Fifth Amendment, respectively, and several cases upholding the extraterritorial application of criminal statutes;

*Several cases refusing (and some not refusing) to enforce choice-of-law and forum-selection or arbitration clauses operating in tandem to deprive employees or consumers of their otherwise unwaivable rights;

* A New York Court of Appeals case explaining why a New York choice-of-law clause in a retirement plan did not include a conflicts rule contained in New York’s substantive successions statute;

* Several cases involving the “chicken or the egg” question of which law governs forum-selection clauses;

* A New Jersey decision ruling on actions for “wrongful birth” and “wrongful life,” and several other cases arising from medical malpractice, legal malpractice, deceptive trade practices, alienation of affections, and, of course, traffic accidents, along with products liability cases involving breast implants and pharmaceuticals;

* The first case granting divorce to a spouse married under a “covenant” marriage in another state, and a Texas case recognizing a Pakistani talaq;

* An Alabama Supreme Court decision refusing to recognize a Georgia adoption by a same-sex spouse on the ground that the Georgia court misapplied its own law regarding subject matter jurisdiction;

* A Delaware case holding that the Full Faith and Credit clause mandates recognition of a sister-state judgment that has recognized a foreign judgment, and does not allow examination of the underlying foreign judgment; and

* A case recognizing a foreign judgment challenged on the ground that the foreign country did not provide impartial tribunals or procedures compatible with due process.

La Corte di appello di Milano riconosce un provvedimento di adozione di una minore da parte della ex coniuge della madre biologica

Aldricus - lun, 01/04/2016 - 07:00

Con decreto depositato il 1° dicembre 2015, la Corte d’appello di Milano ha riconosciuto come efficace in Italia l’ordinanza con cui un giudice spagnolo ha dichiarato l’adozione di una minore da parte della moglie della madre biologica della minore stessa (entrambe le donne erano cittadine italiane, residenti in Spagna all’epoca dell’adozione), ordinandone la trascrizione nei registri dello stato civile.

La Corte ha invece respinto la domanda tesa ad ottenere la trascrizione dell’atto di matrimonio tra le due donne, della successiva sentenza di divorzio nonché dell’accordo regolatore del divorzio e delle condizioni riguardanti l’affido della figlia, omologato dal giudice spagnolo. Tale conclusione è stata raggiunta richiamando la giurisprudenza della Cassazione e della Corte costituzionale, nonché, quasi per intero, il decreto depositato il 6 novembre 2015 con il quale la stessa Corte milanese si  era pronunciata sulla questione della trascrivibilità di un atto di matrimonio straniero tra cittadini italiani dello stesso sesso.

Il mancato riconoscimento del matrimonio, si osserva nel decreto, implica l’impossibilità di procedere alla trascrizione nei registri dello stato civile della pronuncia spagnola di scioglimento del matrimonio stesso e, così, dell’accordo regolatore del divorzio sottoscritto dalle parti. Quest’ultimo, del resto, non costituisce un atto di stato civile suscettibile di trascrizione agli effetti del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, recante l’ordinamento dello stato civile.

Senonché, per la Corte, diverso destino spetta all’ordinanza spagnola che ha dichiarato l’adozione piena della minore, con effetti legittimanti. Sia pure emerga da tale provvedimento che l’adozione è stata dichiarata sul presupposto del matrimonio delle due donne – valido all’estero ma non riconoscibile in Italia – la Corte ha ritenuto che ai fini della sua riconoscibilità ex articoli 64 e seguenti della legge 31 maggio 1995 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, esso debba essere esaminato “indipendentemente da ogni valutazione riguardante il matrimonio spagnolo tra le parti”. La Corte ha così verificato se, in conformità agli articoli 65 e 66 della stessa legge, l’ordinanza dispiegasse piena efficacia in Spagna e non fosse contraria all’ordine pubblico italiano.

Con riferimento a tale seconda condizione, la Corte ha innanzitutto osservato che il concetto di ordine pubblico c.d. internazionale, a cui fa riferimento la norma, non può essere definito “esclusivamente sulla base dell’assetto ordinamentale interno, racchiudendo essa i principi fondamentali della Costituzione o quegli altri principi e regole che rispondono all’esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo o che informano l’intero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti del suo assetto ordinamentale”.

La Corte di appello ha pertanto enucleato i principi cardine in materia di adozione di minori, richiamandosi, in particolare, all’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 e all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che sanciscono la preminenza dell’interesse del minore, nonché agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che assicurano, rispettivamente, la tutela del diritto alla vita privata e familiare e il divieto di discriminazione. La Corte ha fatto altresì riferimento all’art. 23 del regolamento (CE) n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (Bruxelles II bis), che statuisce che i provvedimenti emessi in uno Stato membro e relativi alla responsabilità genitoriale non possono essere riconosciuti “se, tenuto conto dell’interesse superiore del minore, il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto”.

Su queste basi, i giudici milanesi hanno considerato che costituisca “mero pregiudizio” ritenere che “sia dannoso per l’equilibrio e lo sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”, osservando che “ogni situazione deve essere valutata singolarmente, tenuto conto del preminente interesse del minore rispetto alle figure genitoriali e al suo diritto di convivere e/o mantenere regolari rapporti significativi con tutte le figure adulte di riferimento, indipendentemente dalle loro tendenze sessuali, ritenute in concreto adeguate ad assicurargli l’affetto e la cura indispensabili per la sua armoniosa crescita”.

Accertato che la minore è stata cresciuta in un progetto di vita familiare e di genitorialità condivisa instaurato con entrambe le donne, con le quali ha vissuto sin dalla nascita e con le quali ha costruito stabili relazioni affettive, la Corte ha ritenuto che il provvedimento spagnolo non fosse incompatibile con l’ordine pubblico italiano.

Regulation (EU) 2015/2421, OJ L 341, 24.12.2015

Conflictoflaws - dim, 01/03/2016 - 21:43

Regulation (EU) 2015/2421 of the European Parliament and of the Council of 16 December 2015 amending Regulation (EC) No 861/2007 establishing a European Small Claims Procedure and Regulation (EC) No 1896/2006 creating a European order for payment procedure was published on December, 24. Click here to access the Official Journal.

La Convenzione dell’Aja del 1996 sulla protezione dei minori in vigore per l’Italia

Aldricus - dim, 01/03/2016 - 17:00

Il 1° gennaio 2016, come anticipato in un post dello scorso ottobre, è entrata in vigore per l’Italia la Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 sulla competenza, la legge applicabile, l’efficacia delle decisioni e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori.

Nessuno sviluppo, tuttavia, si è registrato negli ultimi mesi quanto alle norme preposte all’attuazione del regime convenzionale nell’ordinamento italiano, che il Parlamento non è riuscito ad adottare nella sua interezza contestualmente all’autorizzazione alla ratifica. Il disegno di legge rivolto a tale scopo (atto Senato n. 1552 bis) rimane allo studio della Commissione Giustizia del Senato, senza che in quella sede si sia avuto alcun progresso rispetto dalla seduta del 21 luglio 2015, che ha disposto una serie di audizioni.

In queste circostanze, non è d’aiuto il fatto che il sito web della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato, nella sezione in cui sono raccolte le informazioni relative alle Autorità centrali degli Stati contraenti, continui a mancare, nel momento in cui scriviamo queste righe, ogni menzione dell’Italia e della sua Autorità centrale (identificata dall’art. 3 della legge n. 101 del 18 giugno 2015 nella Presidenza del Consiglio dei Ministri).

Nel frattempo, soprattutto fuori dall’Italia, il confronto sui temi della Convenzione si fa sempre più intenso. Tra gli sviluppi più recenti, merita di essere segnalato il documento di conclusioni e raccomandazioni elaborato all’esito della conferenza dal titolo Cross Border Child Protection – The 1996 Hague Child Protection Convention in practice, organizzata a Ginevra tra il 21 e il 23 ottobre 2015 dall’ONG Service Social International in collaborazione con la Conferenza dell’Aja.

A seminar in Strasbourg on human rights and family law

Aldricus - mer, 12/30/2015 - 07:00

A two-day seminar on Recent Case Law of the European Court of Human Rights in Family Law Matters, organised by the Academy of European Law (ERA), will take place in Strasbourg on 11 and 12 February 2016.

This seminar will provide participants with a detailed understanding of the most recent jurisprudence of the European Court of Human Rights (ECtHR) related to family law matters. The spotlight is centred on Article 8 (respect for private and family life) in conjunction with Article 14 (prohibition of discrimination) and Article 12 (right to marry). The case law of the ECtHR concentrates not only on the legal implications but also on social, emotional and biological factors.

Speakers include Thalia Kruger (Univ. Antwerp) and Maria Elisa D’Amico (Univ. Maastricht).

For more information see here.

Le modifiche alla procedura europea per le controversie di modesta entità e al procedimento di ingiunzione di pagamento

Aldricus - lun, 12/28/2015 - 07:00

È stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 24 dicembre 2015 il regolamento (UE) 2015/2421 del 16 dicembre 2015, che modifica il regolamento n. 861/2007, istitutivo del procedimento europeo per le controversie di modesta entità, e il regolamento n. 1896/2006, istitutivo del procedimento europeo di ingiunzione di pagamento (si veda da ultimo, sulla revisione dei due strumenti, questo post).

Queste le novità principali per quanto riguarda i c.d. small claims.

(a) Viene estesa, innanzitutto, la portata applicativa del regolamento n. 861/2007. Le controversie “di modesta entità” sono ora definite tali in relazione ad una soglia di valore che passa dai 2.000 ai 5.000 Euro.

(b) Quanto al procedimento, che per principio rimane scritto, è previsto che il giudice fissi un’udienza “esclusivamente se ritiene che non sia possibile emettere la sentenza sulla base delle prove scritte o su richiesta di una delle parti” e che una richiesta tesa a questo scopo possa essere rigettata solo se il giudice “ritiene che, tenuto conto delle circostanze del caso, un’udienza sia superflua per l’equa trattazione del procedimento” (il testo tuttora in vigore prevede, più genericamente, che il giudice proceda a un’udienza “se lo ritiene necessario o su richiesta di una delle parti”, potendo rigettare una tale richiesta “se ritiene che, tenuto conto delle circostanze del caso, un’udienza sia manifestamente superflua per l’equa trattazione del procedimento”). È incentivato l’uso della videoconferenza e di analoghe tecnologie. Norme più specifiche sono introdotte, poi, con riguardo all’assunzione delle prove nonché in tema di notifiche e comunicazioni.

(c) Le spese di giustizia richieste dai singoli Stati membri “non devono essere sproporzionate e maggiori di quelle applicate ai procedimenti giudiziari nazionali semplificati nello stesso Stato membro”. Agli Stati membri viene comunque chiesto di provvedere “affinché le parti possano pagare le spese di giudizio con mezzi di pagamento a distanza, che consentano alle parti di effettuare il pagamento anche da uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede l’organo giurisdizionale”, dovendo essere offerta almeno almeno una delle seguenti modalità di pagamento: bonifico bancario, pagamento con carte di credito o debito, addebito diretto sul conto corrente dell’attore.

(d) La procedura di riesame della sentenza in casi eccezionali è ora consentita al convenuto a cui non è stato notificato il modulo di domanda o, nel caso si sia tenuta un’udienza, se il convenuto stesso non è stato citato a comparire a tale udienza in tempo utile e in modo tale da consentirgli di provvedere alla propria difesa. In alternativa, il riesame rimane ammissibile se il convenuto non ha avuto la possibilità di contestare la domanda a causa di forza maggiore o di circostanze eccezionali a lui non imputabili. Il termine per chiedere il riesame, sin qui ancorato a un parametro generico (“purché agisca tempestivamente”) viene fissato in 30 giorni, decorrenti “dal giorno in cui il convenuto ha avuto effettivamente conoscenza del contenuto della sentenza ed è stato posto nelle condizioni di agire, al più tardi dal giorno della prima misura di esecuzione avente l’effetto di rendere i suoi beni indisponibili in tutto o in parte”. Viene poi garantita, in caso di annullamento della sentenza a seguito dell’accoglimento della richiesta di riesame, la salvezza degli effetti della domanda: ai sensi del nuovo art. 18, par. 3, secondo comma, “l’attore non perde i benefici di un’interruzione dei termini di prescrizione o decadenza ove tale interruzione si applichi ai sensi del diritto nazionale”.

(e) Si prevede adesso che le conciliazioni approvate da un organo giurisdizionale o concluse dinanzi a un organo giurisdizionale nell’ambito del procedimento europeo per le controversie di modesta entità e aventi efficacia esecutiva nello Stato del foro “sono riconosciute ed eseguite in un altro Stato membro alle stesse condizioni delle sentenze emesse nell’ambito del procedimento europeo per le controversie di modesta entità”.

Passando alle innovazioni relative al regolamento n. 1896/2006 sul procedimento europeo di ingiunzione di pagamento, è ora previsto che, in caso di tempestiva opposizione, il procedimento prosegua “dinanzi ai giudici competenti dello Stato membro d’origine” secondo il procedimento europeo per le controversie di modesta entità, laddove applicabile, oppure in conformità con “un rito processuale civile nazionale appropriato”.

Spetterà al ricorrente precisare, nella domanda di ingiunzione, quale di queste procedure debba essere seguita in caso di opposizione alla sua domanda nel successivo procedimento civile qualora il convenuto presenti opposizione all’ingiunzione di pagamento europea.

In mancanza di tale indicazione, o qualora il ricorrente abbia chiesto che si applichi il procedimento europeo per gli small claims a una controversia che non rientra nel campo di applicazione di tale regolamento, “il procedimento viene trattato secondo l’appropriato rito civile nazionale, a meno che il ricorrente non abbia esplicitamente chiesto che tale mutamento di rito non avvenga”.

Le modifiche prefigurate dal nuovo regolamento saranno applicabili a decorrere dal 14 luglio 2017.

Commission report European Order for Payment

Conflictoflaws - jeu, 12/24/2015 - 14:12

In October 2015, the long awaited Commission Report on the application of Regulation No 1896/2006 creating a European Order for Payment Procedure (that was due December 2013) was published. It generally and optimistically concludes that:

Overall, the objective of the Regulation to simplify, speed up and reduce the costs of litigation in cases concerning uncontested claims and to permit the free circulation of European payment orders in the EU without exequatur was broadly achieved, though in most Member States the procedure was only applied in a relatively small number of cases. From the studies and consultation carried out, it appears that there have been no major legal or practical problems in the use of the procedure orin the fact that exequatur is abolished for therecognition and enforcement of the judgments resulting from the procedure.

On the basis of a limited and somewhat outdated set of data the following observations are made. Annually, approximately 12.000 to 13.000 applications for the procedure are received. Most orders are issued in Germany and Austria (approx. 4.000). In seven other Member States, the number of applications is between 300-700, while in the remaining Member States the use of the procedure is very limited.

The time lapse between the application and issuing the order (that should normally not be more than 30 days according to Art. 12 of the EOP Regulation) varies considerably per Member State. Some Member States are able to issue the order within one or several weeks, while the majority of the Member States take several months and up to nine months. Only six Member States have an average length of the procedure lower than 30 days, according to available data upon which the report is based. Another important element for assessing the effectiveness of the procedure is the number of oppositions against the European order for payment; if opposition is lodged the case should proceed according to domestic procedural rules (Art. 16 and 17 EOP Regulation). This percentage varies largely, from approx. 4% (in Austria) to over 50% (in Greece). Looking at the numbers, the general trend is that in Member States where the procedure is used often the opposition rate is low, whereas in Member States where the procedure is rarely used the opposition rate is high. It would be interesting to know what causes what – the chicken and egg dilemma.The costs of the procedure vary considerably per Member State as well, and when translation of documents is required (which is the case in most countries, as the majority only accepts documents in the domestic language), the costs of the procedure are high. Furthermore, Member States have varying methods to calculate court fees.

The report rightfully concludes that Art. 20 of the EOP Regulation requires clarification as has been proposed for the European Small Claims Procedure (see our earlier post). From national case law and a number of cases that have reached the Court of Justice, notably eco cosmetics and Raiffeisenbank St. Georgen (joined cases C-119 and C-120) it is clear that not all situation where a remedy should be available due to defect service are covered by the Regulation. The Court of Justice ruled that national law should provide such remedy. This is clearly a shortcoming of the Regulation also considering that remedies in the Member State of enforcement are limited if not absent, and it (further) undermines the uniform application. On a positive note, the report concludes that generally no problems were reported in the enforcement of EOPs, except for the general lack of transparency of debtors’ assets for enforcement purposes in a cross-border context. This optimistic conclusion may, however, also be due to the lack of information on the actual enforcement track, which can generally be troublesome in many Member States. Regarding the Banco Español case (C-618/10) addressing the issue of order for payment and unfair contract terms (it concerned a clause on interest), the Report concludes that Art. 8 of the EOP Regulation requiring the court to examine whether the claim appears to be founded on the basis of the information available to it, the courts have sufficient room to take account of the principle of effectiveness. They can, for instance, on the basis of Art. 10 issue only a partial order. In addition, a full appreciation takes place after opposition. One might still question whether this satisfactorily resolves the issue, especially how this relates to the encouraged full automatization and digitalization of the procedure and how it shifts the burden to the consumer.

The report urges to raise awareness of the procedure, and suggests that the electronic processing should be maintained and improved; most Member States do not provide electronic submission possibilities for (all) parties yet. Concentration of jurisdiction, as some Member States have done, is advised, as this contributes to a swift resolution of the procedure. Swiftness in general is a problem; the report once again stresses the fact that late payments are a key cause of insolvencies in small and medium-sized enterprises. It then the EOP procedure takes 6 months, the beneficiary effect of the procedure is annihilated.

Happy holidays!

 

Conflitti di leggi e arbitrato

Aldricus - mer, 12/23/2015 - 07:00

Il volume n. 375 del Recueil des cours de l’Académie de Droit International de la Haye, uscito a Novembre 2015, comprende, fra gli altri, uno scritto di Ted M. de Boer intitolato Choice of Law in Arbitration Proceedings.

[Dal sito dell’editore] – Contrary to national courts, arbitral tribunals are not bound to local rules of private international law: there is no lex fori determining the choice-of-law issues that may be raised in arbitration proceedings. Arbitrators are thus faced with the problem of choosing (a) the law governing disputes on the existence and validity of arbitration agreements, (b) the law governing the merits of the case, and (c) the law governing the proceedings as such. Most of these problems could be solved by an express choice of law by the parties. However, apart from the question of whether such a choice is valid and permissible and which law applies to that issue, the principle of party autonomy is of no avail in the absence of a (valid) agreement on the applicable law. In this course, various solutions to the choice-of-law problems that may arise in arbitration proceedings are discussed and evaluated.

Ulteriori informazioni sull’intero volume, compresi gli indici degli articoli, sono disponibili a questo indirizzo.

Master in the kitchen. Food, not law, for the festive period.

GAVC - mar, 12/22/2015 - 07:07

Regular readers of the blog will know I do not easily stray from the legal menu. When I do, it has to be for something extraordinary. Master in the kitchen is just that, for it takes away all excuses not to spend time with family and friends preparing and enjoying great food produce. (Instead of just food products). Plus the site’s photography offers a lot of eye candy.

To all readers, Merry Christmas or alternative seasons’s greetings.

Geert.

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