Con una sentenza depositata il 26 ottobre 2015, il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla trascrizione, nei registri dello stato civile, degli atti di matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero, su ricorso del Ministero dell’interno avverso una decisione resa il 23 aprile 2014 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio.
La sentenza impugnata, non riconoscendo alcun diritto alla trascrizione degli atti stranieri di matrimoni same-sex, aveva annullato il provvedimento del 31 ottobre 2014 con cui il Prefetto di Roma aveva disposto l’annullamento di alcune trascrizioni di tali atti, in linea con quanto previsto dalla circolare del 7 ottobre 2014 (su cui vedi questo post).
Ritenendo che la questione attinente all’enunciato potere prefettizio fosse logicamente successiva a quella della trascrivibilità degli atti di matrimonio, il Consiglio di Stato ha proceduto, in primo luogo, all’analisi della questione della trascrivibilità, articolando a tal fine una ricognizione dei principi e delle norme che governano la trascrizione degli atti di matrimonio formati all’estero.
Esso muove dagli articoli 27 e 28 della legge 31 maggio 19995 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, che designano, rispettivamente, la legge secondo la quale dev’essere valutata la validità sostanziale – ossia le condizioni soggettive – del matrimonio (trattasi della “legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio”), e la legge secondo la quale va determinata la validità formale dell’atto celebrato all’estero (alternativamente, la legge del luogo di celebrazione, della nazionalità di almeno uno dei coniugi ovvero della loro comune residenza al momento della celebrazione).
Lette in combinazione con l’art. 115 del codice civile – ai sensi del quale i cittadini italiani sono soggetti alle disposizioni del codice civile anche quando contraggono matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite – tali disposizioni individuano nell’ordinamento italiano l’unico sistema regolatorio da cui devono enuclearsi gli elementi per misurare la validità formale e sostanziale del matrimonio.
Tale sistema, prosegue il Consiglio di Stato, individua nella diversità di sesso dei nubendi la “prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio … in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto, oltre che all’ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna”. Pertanto, il matrimonio celebrato all’estero tra due persone dello stesso sesso risulta sprovvisto di tale elemento essenziale ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento, come già precisato dalla Corte di cassazione (sentenze n. 2400/2015 e n. 4184/2012, su cui vedi qui).
Pertanto, il Consiglio di Stato rileva che all’ufficiale di stato civile – che ha il dovere di verificare la sussistenza dell’elemento della diversità di sesso – è impedito di procedere alla relativa trascrizione, difettando la condizione, prevista all’art. 64 del regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile (decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000 n. 396/2000), della “dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente in marito e moglie”.
Il titolo rivendicato dai ricorrenti, prosegue il Consiglio di Stato, non può rinvenirsi neanche alla luce di principi costituzionali, enunciati in convenzioni internazionali o a livello europeo. Il divieto di trascrivere gli atti stranieri di matrimoni celebrati tra persone dello stesso sesso è già stato affermato a più riprese dalla Corte costituzionale (sentenze n. 170/2014 e n. 138/2010; ordinanze n. 4/2011 e n. 276/2010), che ha chiarito come tale divieto sia compatibile, da un lato, con l’art. 29 della Costituzione e, dall’altro, con l’art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che sanciscono il diritto al matrimonio (e dunque con l’art. 117, co. 1, Cost.).
Il quadro delineato non sarebbe mutato neppure a seguito della sentenza resa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo il 21 luglio 2015 nel caso Oliari ed altri c. Italia (ricorsi n. 18766/11 e n. 36030/11) che, pur riconoscendo la violazione, da parte dell’Italia, dell’art. 8 della CEDU (che garantisce il diritto alla vita privata e familiare), nella misura in cui non assicura alcuna protezione giuridica alle unioni omosessuali, ha ribadito che la disciplina del matrimonio rientra nel margine di apprezzamento riservata agli Stati contraenti.
Da ultimo, con riguardo al motivo d’appello principale – il potere del Prefetto di annullare d’ufficio predette trascrizioni – il Consiglio di Stato svolge dapprima una ricognizione dei rapporti inter-organici esistenti tra Prefetto e Sindaco. A quest’ultimo, quale ufficiale di governo, è affidata anche la tenuta dei registri dello stato civile ed egli è soggetto, nell’esercizio delle pertinenti funzioni, alle istruzioni impartite dal Ministero dell’interno e, per esso, dal Prefetto.
Di conseguenza “deve essere affermata la sussistenza, in capo al Prefetto, della potestà di annullare le trascrizioni in questione, quale potere compreso certamente, ancorché implicitamente, nelle funzioni di direzione, sostituzione e vigilanza attribuitegli dall’ordinamento nella materia in discussione”. Tanto più che, conclude il Consiglio di Stato, “l’esigenza del controllo giurisdizionale … si rivela del tutto recessiva (se non inesistente), a fronte di atti inidonei a costituire lo stato delle persone ivi contemplate, dovendosi, quindi, ricercare, per la loro correzione, soluzioni e meccanismi anche diversi dalla verifica giudiziaria”.
Paolo Bertoli, Diritto europeo dell’arbitrato internazionale, Giuffrè, 2015, ISBN: 9788814208256, pp. 274, Euro 29.
[Dall’introduzione] – L’ordinamento europeo si compone di un insieme di principi e regole funzionali al processo di integrazione giuridica ed economica dei suoi Stati membri. Tali principi e regole limitano e condizionano la potestà legislativa statale e quella delle stesse istituzioni europee, sia impedendo di adottare o mantenere in vigore misure con essi contrastanti, sia incentivando l’adozione di atti funzionali al perseguimento degli obiettivi di integrazione ad essi sottesi. A sua volta, l’integrazione giuridica ed economica europea si fonda sul perseguimento di interessi pubblici e privati strettamente interconnessi […]. Esiste, pertanto, un evidente interesse europeo a un’efficiente disciplina attinente la soluzione delle controversie in materie civile e commerciale. A sua volta, l’arbitrato consiste in un metodo di soluzione delle controversie “attraverso l’intervento di un terzo al quale le parti, nella loro autonomia, rimettono una decisione con effetti per loro vincolanti”. L’arbitrato è un istituto noto in quasi tutti gli ordinanmenti, che – con diversi limiti e in base a differenti concezioni teoriche sottostanti – riconoscono effetti giuridici a un atto di autonon1ia privata diretto a conferire ad arbitri il potere di risolvere una controversia, con effetti vincolanti per le parti. L’arbitrato, in altri tern1ini, è un istituto che trova la propria origine e il proprio carattere giuridico nella circostanza che un dato ordinamento (interno, europeo o internazionale) conferisce tali effetti ad atti di autonomia privata ed è pertanto sempre radicato in almeno un determinato ordinamento. La decisione degli arbitri, a sua volta, produrrà effetti nell’ordinamento in cui l’arbitrato è radicato e dal quale ricava il proprio carattere giuridico in base alle norme proprie a tale ordinamento, e in altri ordinamenti in base a norme uniformi o, in assenza, a quelle interne. […] Dato il crescente utilizzo dell’arbitrato internazionale quale metodo di soluzione delle controversie internazionali in materia civile e commerciale e dato l’interesse europeo alla disciplina di tali controversie, la presente trattazione intende indagare come l’ordinamento europeo regoli o altrimenti condizioni l’arbitrato internazionale.
L’indice del volume è consultabile a questo indirizzo. Per maggiori informazioni sull’opera, si veda qui.
Mutual recognition of same sex-marriage in the UK. Combination of constitutional and conflicts law – a rare treat!
Originally posted on UK Human Rights Blog:
The High Court in Belfast will sit on Monday 9 and 10th November to hear a challenge by a same sex couple now living in Northern Ireland who seek recognition of their English marriage. The current legal dispensation in the Province is that an English same sex marriage is recognised as a civil partnership in Northern Ireland.
The Petition is resisted by the Attorney General and government of Northern Ireland and the (UK) Government Equalities Office (which reports to Nicky Morgan, the Minister for Women and Equalities). It is anticipated that Judgment will be reserved.
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On 26 November 2015, the Department of Law of the University of Ferrara will host a workshop in English on Collective Redress through the Voluntary Assignment of Obligations – Recent developments in EU Private International Law.
The main speaker will be Sabine Corneloup (Univ. de Bourgogne – Dijon). The discussant will be Antonio Leandro (Univ. of Bari).
Attendance is free, but those wishing to take part in the workshop are kindly asked to write an e-mail to pilworkshops@unife.it.
Further information available here.
An inevitable consequence of the rulings in Google Spain, Weltimmo and Schrems /Facebook /Safe harbour, is whether courts in the EU can or perhaps even must insist on extending EU data protection rules to websites outside of EU domain. The case has led to suggestions of ‘exterritorial reach’ of Google Spain or the ‘global reach’ of the RTBF, coupled with accusations that the EU oversteps its ‘jurisdictional boundaries’. This follows especially the order or at least intention, by the French and other data protection agencies, that Google extend its compliance policy to the .com webdomain.
The Landgericht Köln mid September (the case has only now reached the relevant databases) in my view justifiably withheld enforcement jurisdiction in a libel case only against Google.de for that is the website aimed at the German market. It rejected extension of the removal order vis-à-vis Google.com, in spite of a possibility for German residents to reach Google.com, because that service is not intended for the German speaking area and anyone wanting to reach it, has to do so intentionally.
I have further context to this issue in a paper which is on SSRN and which is being peer reviewed as we speak (I count readers of this blog as peers hence do please forward any comments).
Geert.
Con la sentenza 26 ottobre 2015, n. 21712, la Corte di cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sull’obbligo di applicazione della legge straniera «secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo» posto dall’art. 15 della legge 31 maggio 1995 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.
La vertenza che ha dato origine alla decisione prende le mosse dal decreto ingiuntivo con cui nel 2003 il Tribunale di Milano ordinava a B.A. il pagamento di una certa somma di denaro a favore di una società che gestiva un casinò con sede in Francia, avendo il primo ottenuto il corrispettivo di tale somma in fiches sulla base di assegni rimasti insoluti. L’ingiunto si opponeva affermando che, ai sensi dell’art. 1933 del codice civile, la società non poteva esercitare alcuna azione per ottenere il credito derivante dal gioco. L’opposizione veniva accolta.
La società opposta proponeva appello e, in tal sede, il giudice di secondo grado riteneva applicabile non già alla legge italiana ma la legge francese, in base all’art. 4, par. 2, della Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (applicabile ratione temporis in luogo del sopravvenuto regolamento n. 593/2008).
La Corte d’Appello dava così applicazione all’art. 1965 del codice civile francese, così come interpretato dalla giurisprudenza francese. In particolare, il dato letterale della norma citata prevede, similmente all’art. 1933 del codice civile italiano, che non è concessa azione al creditore per i debiti di gioco. Senonché, sul punto, la Cour de cassation, con sentenza 4 marzo 1980, ha precisato che tale norma non trova applicazione se la tenuta del casinò è autorizzata dalla legge e regolamentata da pubblici poteri. Da tale orientamento derivava il potere del casinò di agire per ottenere il soddisfacimento del proprio credito. Conseguentemente il giudice d’appello riformava la sentenza a favore della società amministratrice del casinò.
Il B.A. ricorreva quindi per cassazione lamentando la violazione dell’art. 15 della legge n. 218/1995, in quanto la Corte d’Appello avrebbe applicato l’art. 1965 del code civil in base ad un orientamento che, ancorché effettivamente affermatosi, non trova applicazione qualora il credito vantato non derivi direttamente dall’attività di gioco bensì, come nel caso di specie, da un mutuo erogato al fine di consentire il gioco.
Nella sentenza la Suprema Corte prende inizialmente posizione sulla corretta applicazione dell’art. 4, par. 2 della Convenzione di Roma. Precisa la Corte che, non sussistendo tra le parti un accordo sulla legge applicabile, questa deve essere individuata nella legge del Paese di residenza dell’obbligato alla prestazione caratteristica del contratto, in questo caso consistente nella “dazione delle fiches“.
Continua il Giudice di legittimità argomentando l’ammissibilità del motivo di impugnazione esperito, poiché la violazione di legge può riguardare tanto la legge italiana quanto la legge straniera regolatrice del rapporto, come in passato affermato (cfr. Cass. n. 8630/2005). Prosegue la motivazione ribadendo che “il dovere del giudice di ricercare le fonti del diritto deve intendersi posto anche con riferimento alle norme giuridiche dell’ordinamento straniero, ma non implica l’obbligo di acquisire fonti giurisprudenziali”.
Rilevata l’effettiva presenza dell’orientamento giurisprudenziale richiamato dal giudice dell’appello, la Suprema Corte considera un successivo orientamento giurisprudenziale consolidatosi in Francia per il quale, pur essendo il credito del casinò azionabile se questo esercita la propria attività autorizzato dalla legge, il principio richiamato non si «attagli al caso in cui il debito in questione “se rapporte à des prêts consentis par le casino por alimenter le jeu” (si riferisca a prestiti concessi dal casinò per alimentare il gioco)“. La Corte corrobora le proprie osservazioni citando numerose sentenze della stessa Suprema Corte francese.
La Corte di cassazione conclude quindi con l’accoglimento del ricorso per violazione dell’art. 15 della legge n. 218/1995, non avendo la Corte d’Appello individuato i corretti criteri ermeneutici da impiegare nell’applicazione della legge francese.
Il 9 e 10 novembre 2015 l’Università di Milano Bicocca ospita un convegno dal titolo 1975-2015 – La famiglia e il diritto: 40 anni di trasformazioni.
L’evento si articola in quattro sessioni, dedicate rispettivamente a L’idea di famiglia nel tempo, Centralità e unitarietà dello status di figlio, Il matrimonio e le unioni civili e La famiglia e lo Stato.
La seconda sessione, in particolare, presieduta da Costanza Honorati, propone alcune relazioni di sicuro interesse per i cultori del diritto internazionale privato, affidate a Cristina Campiglio (Univ. Pavia), che parlerà de La filiazione alla luce della CEDU, e a Maria Caterina Baruffi (Univ. Verona), che interverrà su Legislazioni straniere e riconoscimento dello status di figlio nato all’estero.
Ulteriori informazioni a questo indirizzo.
Cinzia Peraro, Il riconoscimento degli effetti della kafalah: una questione non ancora risolta, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2015, pp. 541-566.
[Abstract] – The issue of recognition in the Italian legal system of kafalah, the instrument used in Islamic countries to take care of abandoned children or children living in poverty, has been addressed by the Italian courts in relation to the right of family reunification and adoption. The aim of this paper is to analyse judgment No 226 of the Juvenile Court of Brescia, which in 2013 rejected a request to adopt a Moroccan child, made by Italian spouses, on the grounds that the Islamic means of protection of children is incompatible with the Italian rules. The judges followed judgment No 21108 of the Italian Supreme Court, issued that same year. However, the ratification of the 1996 Hague Convention on parental responsibility and measures to protect minors, which specifically mentions kafalah as one of the instruments for the protection of minors, may involve an adjustment of our legislation. A bill submitted to the Italian Parliament in June 2014 was going in this direction, defining kafalah as «custody or legal assistance of a child». However, in light of the delicate question of compatibility between the Italian legal system and kafalah, the Senate decided to meditate further on how to implement kafalah in Italian law. Therefore, all rules on the implementation of kafalah have been separated from ratification of the Hague Convention and have been included in a new bill.
Si terrà il 27 novembre 2015, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara, una tavola rotonda dal titolo La codificazione del diritto internazionale privato e processuale – Sviluppo storico e declinazioni attuali di un’idea.
Moderati da Andrea Giardina (Univ. Roma La Sapienza), prenderanno la parola, fra gli altri, Didier Boden (Univ. Paris 1 – Panthéon-Sorbonne), Sergio M. Carbone (Univ. Genova), Francesco Salerno (Univ. Ferrara) e Sara Tonolo (Univ. Trieste).
Interverranno altresì Antonio Leandro (Univ. Bari), Fabrizio Marongiu Buonaiuti (Univ. Macerata), Lidia Sandrini (Univ. Milano) e Chiara Tuo (Univ. Genova).
Maggiori informazioni, oltre a una selezione di materiali, sono disponibili a questo indirizzo
Research Handbook on Transnational Labour Law, a cura di Adelle Blackett, Anne Trebilcock, 2015, Edward Elgar Publishing, ISBN 9781782549789, pp. 608, GBP 297.
[Dal sito dell’editore] – The editors’ substantive introduction and the specially commissioned chapters in the Handbook explore the emergence of transnational labour law as a field, along with its contested contours. The expansion of traditional legal methods, such as treaties, is juxtaposed with the proliferation of contemporary alternatives such as indicators, framework agreements and consumer-led initiatives. Key international and regional institutions are studied for their coverage of such classic topics as freedom of association, equality, and sectoral labour standard-setting, as well as for the space they provide for dialogue. The volume underscores transnational labour law’s capacity to build bridges, including on migration, climate change and development.
Maggiori informazioni sono reperibili qui.
C-523/14 Aertssen is not a corner piece of the Brussels I jigsaw. Rather, a necessary if unexciting piece of the puzzle’s main body. Aertssen NV, of Belgium, had a gripe with VSB Machineverhuur BV and others, of the Netherlands. Aertssen alleged fraud in VSB’s dealings with the company. It employed a well-known feature of Belgian (and French, among others) civil procedure, which is to file complaint with the investigating magistrate. This launches a criminal investigation, to which civil proceedings are attached.
Aertssen’s subsequent action of attachment of VSB’s accounts in The Netherlands, risked being stalled by the Dutch courts’ insistence that the group launch new legal action in The Netherlands. Aertssen obliged pro forma with this initiation of new proceedings, subsequently to aim to torpedo them. Aertssen would rather the Belgian courts continue with their own, criminal investigation and that action in The Netherlands, other than action in attachment, be put on hold, at least until the Belgian proceedings be finalised.
In essence therefore, the case before the CJEU need to determine whether the Aertssen action ib Belgium is of a ‘civil and commercial’ nature, and if it is, whether the action in Belgium and The Netherlands meet the requirements of the lis alibi pendens rule of Article 27 (old) of the Brussels I-Regulation. the CJEU replied in the affirmative to both.
Precedent for the ‘civil and commercial’ issue, other than the usual suspects, was available per Sonntag, Case C-172/91, where the Court held that civil matters within the meaning of the first sentence of the first paragraph of Article 1 of the Brussels Convention cover an action for compensation for damage brought before a criminal court. In Aertssen, The CJEU used the term ‘private law relationship’ to describe the legal relationship between the parties concerned. Even though, other than in Sonntag where the criminal proceedings were launched by the State prosecutor, Aertssen itself had triggered the criminal investigation, its ultimate aim is to obtain monetary compensation.
The subsequent question was whether per Article 27, lis pendens exists. Reference is best made to the judgment itself for the application of the The Tatry criteria (Case C-406/92): the two cases pending need to involve the same parties, pursuing the same cause of action (the facts and the rule of law relied on) and with the same object (meaning the end the action has in view). The CJEU held among others that the question whether the parties are the same cannot depend on the position of one or other of the parties in the two proceedings.
The remainder of the judgment deals with the meaning of the term ‘court first seized’ in Article 30 of the Regulation, and the relevance of national rules of civil procedure in same.
It is not often that a party aims to torpedo its own proceedings and the procedural intricacies of the case are rather complex. However the CJEU keeps a level head, with in the end transparent results.
Geert.
È da poco uscito il fascicolo estivo dell’annata 2015 di Int’l Lis – Corriere trimestrale della litigation internazionale, diretto da Claudio Consolo.
Nella sezione Cronache, il fascicolo ospita, fra le altre, uno scritto di Albert Henke sulle nuove leggi arbitrali olandese e belga, seguito dalla segnalazione (sotto forma di agili note di commento) di alcune recenti pronunce della Corte di cassazione su temi di diritto processuale civile internazionale, a cura di Elena D’Alessandro, Gina Gioia, Luca Penasa, Monica Pilloni, Marcello Stella, Silvia Turatto e Beatrice Zuffi.
Il fascicolo propone inoltre una nota di Marcella Negri alla sentenza Cartel Damage Claims della Corte di giustizia (21 maggio 2015, causa C-352/13), dal titolo Una pronuncia a tutto campo sui criteri di allocazione della competenza giurisdizionale nel private enforcement transfrontaliero: il caso esemplare delle azioni risarcitorie c.d. follow-on rispetto a decisioni sanzionatorie di cartelli pan-europei.
Si devono invece rispettivamente a Valentina Morgante e a Olga Desiato i commenti a Court of Appeal of England and Wales, 5 febbraio 2015, in tema di immunità giurisdizionale degli Stati stranieri nelle controversie di lavoro, e a Corte d’Appello di Bari, ord. 6 ottobre 2014, sulla incompatibilità con l’ordine pubblico dello Stato richiesto quale causa ostativa del riconoscimento di un provvedimento straniero.
Chiudono il fascicolo la prima parte di uno scritto di Neil Andrews sulle recenti innovazioni conosciute dal diritto inglese dei contratti e della procedura civile e uno scritto di Claudio Consolo intitolato Adesione del convenuto straniero al tentativo di mediazione obbligatoria ex art. 5, co. 1-bis, d. lgs. 28/2010 promosso in Italia e (salvezza dell’eccezione di difetto della) giurisdizione italiana.
Maggiori informazioni a questo indirizzo.
Europäisches Zivilprozess- und Kollisionsrecht EuZPR/EuIPR, vol. I, Brüssel Ia-VO, 4a ed., Verlag Dr. Otto Schmidt, 2015, pp. 1456, ISBN 9783504472023, Euro 249.
[Dal sito dell’editore] Rechtzeitig zum Inkrafttreten 2015 wird in Band I der 4. Auflage des Großkommentars EuZPR/EuIPR die reformierte Fassung der Brüssel I-Verordnung, die Brüssel Ia-Verordnung, mit den wichtigen Neuerungen kommentiert. So finden Sie z.B. alles zu den erheblichen Änderungen im Verfahren der Vollstreckung von ausländischen Zivilurteilen, zu dem Recht der parallelen Rechtshängigkeit sowie zu den Möglichkeiten der signifikant gestärkten Gerichtsstandsvereinbarungen. Das Lugano-Übereinkommmen 2007, das erst die Anpassung an die bisherige Verordnung vollzieht, weicht damit bereits wieder deutlich vom EU-Instrument ab und wird in diesen wesentlichen Abweichungen behandelt.
Maggiori informazioni sul volume, che ha per autori Stefan Leible, Peter Mankowski, Ansgar Staudinger e Steffen Pabst, sono reperibili a questo indirizzo.
“These general terms and conditions will be governed by and construed in accordance with English law.
With respect to any suit, action or proceedings relating to these general terms and conditions each party irrevocably submits to the jurisdiction of the English courts.”
In Anchorage, the High Court had already dismissed a semantic approach to choice of court agreements in contracts (and choice of court clauses) subject to English law. In Global Maritime Investments Cyprus v O.W., Teare J considered in summary judgment, sought by GMI, whether the aforementioned clause is exclusive, and if not, whether proceedings commenced by GMI in England, block any future proceedings on the same (or wider) contractual issues sought by OW in Denmark. GMI had started proceedings in England following OW’s November 2014 filing for bankruptcy in Denmark. OW had initiated proceedings in Denmark in March 2015. At issue was among others the ‘netting-out’ provisions between parties (effectively, a final settlement of reciprocal dues in different currencies, with derivatives of commodity transactions being the underlying transactions between the parties in this case).
Teare J held that the clause even if not so phrased verbatim, was meant to be exclusive, among others in line with what ‘the reasonable commercial man’ (the bonus mercator, if you like) would have understood the clause to be, especially under the lex contractus, English law. All the more so in light of the use of ‘irrevocably’. At 51 he does offer sound commercial advice to avoid disputes such as the one at issue: it is desirable to employ transitive language, such as in ‘each party agrees to submit all claims’.
I do not think there is justification for the Court not to have considered the impact of the Brussels I (and /or Recast) Regulation on the clause: the judgment keeps entirely shtum about it. Under the rules of the Regulation, all clauses are considered exclusive unless specifically stated. Saying that the clause expressis verbis amounts to non-exclusivity, would be quite a stretch. (I agree it is not clearly worded exclusively – however that is exactly where the Brussels I Regulation is of assistance).
It is quite clear to me that this judgment (issued 17 August – I have delayed reporting for exam reasons) will not be the end of the jurisdictional affair. In particular, parties I am sure will be at loggerheads as to what litigation is to be considered ‘relating to these general terms and conditions’, in particular with OW’s insolvency proceedings in the background.
Geert.
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